Leao è l’esempio più lampante del grande lavoro fatto dal Milan in sede di mercato e progettazione della rosa: ma non è l’unico della squadra campione d’Italia.

Da qualche mese a questa parte tutti parlano della formidabile qualità di Rafael Leao, di quanto il portoghese sia stato decisivo nella fase finale del campionato per la conquista del 19° scudetto del Milan. Se ne parla come se questo talento portoghese fosse uscito dal nulla, come se prima di questo strepitoso finale di campionato non avesse dimostrato di avere potenzialità enormi. Questa narrazione è la palese dimostrazione della cecità che alle volte caratterizza il mondo del calcio, ma soprattutto la stampa dedicata e gli appassionati.

Che Leao avesse qualcosa di speciale era intuibile dal primo tocco di palla, dal primo gol (quello fatto dopo una serpentina in una partita complessa per il “Diavolo”), ma anche dalla facilità nel saltare l’uomo, nell’idea folle che ad ogni partita tirava fuori per servire un compagno o cercare la conclusione a rete. Il portoghese è il classico giocatore di estro, che deve avere carta bianca sulle scelte da fare e che deve sentire la fiducia addosso. Se un giocatore del genere viene fischiato per una giocata errata o viene sostituito quando la giocata non arriva, di sicuro non si esprimerà mai al meglio.

L’unica cosa che è cambiata rispetto al Leao dello scorso anno, infatti, è la fiducia dell’allenatore e dell’ambiente. Mentre lo scorso anno era visto come sostituto di Rebic e ad un certo punto una scelta possibile tra il croato e Hauge, quest’anno la gerarchia è cambiata, con Leao che è diventato il titolare indiscusso della fascia sinistra e Rebic prima alternativa, con Hauge che invece è volato in Germania. Il risultato è stato quello di dare continuità ad un giocatore giovane e di talento, permettergli di ottenere fiducia nei propri mezzi, e il lusso di tentare la giocata in qualsiasi momento.

Questo risultato non è casuale, ma è frutto della progettualità del Milan del fondo Elliot. Hauge era un doppione di talento ed è stato mandato via perchè Leao era il giovane su cui puntare, quello su cui si era investito tanto e che aveva le potenzialità per diventare l’arma in più di questa squadra. La scelta è stata compiuta prima a livello dirigenziale, quindi a livello tecnico. Qui c’è un altro punto da sottolineare, ovvero come dirigenza e allenatore in questa società vanno nella stessa direzione e sono in perfetta sintonia.

Non solo Leao, il Milan è un progetto basato su giovani e talento

Lo stesso discorso può essere fatto per Tonali. Il talento di Brescia è arrivato come sostituto di Kessie o Bennacer, mentre quest’anno è stato investito del ruolo di titolare e sono stati gli altri due ad alternarsi al suo fianco. Il risultato di questa fiducia e di questo spazio è stato sotto gli occhi di tutti e dimostra ancora una volta come nel calcio moderno alle volte c’è troppa fretta nell’etichettare e nel bocciare un calciatore. Anche qui la crescita di Tonali dipende sia dalla dirigenza che ha deciso di riscattarlo nonostante un’annata opaca, sia dall’allenatore che ha creduto in lui e ci ha puntato sin dall’inizio.

Un discorso simile può essere fatto per un altro protagonista di questa annata, questo ancora meno atteso: Pierre Kalulu. Il difensore francese classe 2000 è stato preso a parametro zero senza che avesse mai debuttato in campionato professionistico. Pioli lo ha gettato subito in mischia, lo ha provato da terzino e da centrale e sin dalle prime uscite se ne intuito il talento. Gli infortuni di Romagnoli e Kjaer in questo caso gli hanno aperto la strada, ma è stata la fiducia dell’allenatore che gli ha permesso di diventare titolare e complementare a Tomori.

Saper valorizzare il talento è una dote rara nel calcio odierno e specialmente in Italia, dove i giovani sono spesso relegati alla panchina o lasciati andare prima che possano sbocciare in realtà minori. Questo Milan mi ricorda l’Arsenal di Wenger, una squadra che mescolava giovani talenti a veterani e che per un quinquennio ha dominato la Premier League, sfiorando addirittura la Champions. L’augurio è che le altre grandi società italiane possano seguirne l’esempio, per un campionato più giovane e meno esoso, ma che possa porre le basi per progetti di calcio e non raccolte di figurine utilisi sì a vincere qualche trofeo subito, ma meno a costruire un ciclo vincente.

Di scapa

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