Crolla un mito dell’antijuventinità.
In un’intervista al Corriere della Sera l’ex allenatore (tra le altre) di Roma e Lazio Zdenek Zeman ha ammesso di essere un tifoso della Juventus, sin da bambino, in barba alle sue crociate varie ed eventuali che lo videro opporsi alla società bianconera:
“Sono sempre stato juventino. Da piccolo andavo a dormire con la maglia bianconera”.
E le crociate erano contro i dirigenti di quel tempo, contro la triade: “Con la Juve di Moggi, Giraudo e Bettega. Ma la Juventus non comincia e non finisce con loro. Era la squadra di mio zio Cestmir Vycpálek (che da allenatore vinse due titoli alla guida dei bianconeri, ndr): il più grande talento del calcio cecoslovacco prima di Pavel Nedved, che portai in Italia. La differenza è che Nedved, lavoratore maniacale, voleva allenarsi pure il giorno di Natale; mio zio invece amava le gioie della vita. Era stato a Dachau, e il lager l’aveva segnato. Ma mi dicono fosse birichino anche prima”.
Quindi sull’inchiesta contro i bianconeri sull’abuso di farmaci partito da una sua denunca:
“La mia denuncia? Ma solo perché a Torino c’era un magistrato coraggioso, Guariniello. Io ho puntato il dito contro il sistema, non solo contro la Juve, che aveva molti seguaci. E il problema non erano solo i farmaci. Erano anche i passaporti falsi. Era anche il condizionamento degli arbitraggi. Era anche lo strapotere della finanza”.
Abbandonando il tema calcistico, Zeman ha parlato – tra gli altri temi – del suo odio verso i comunisti (che nella sua cecoslovacchia furono al potere per lungo tempo):
“Odiavo i comunisti. Come li odiava mio padre, medico. Al piano di sopra abitava il capo del partito di Praga 14, il nostro distretto. Papà talvolta urlava dalla finestra del bagno la sua rabbia contro il regime. Ogni tanto qualcuno spariva”.
Infine, tra le altre cose, parole di grande apprezzamento per Francesco Totti:
“Il giocatore più forte che ho avuto. Pareva avesse quattro occhi, due davanti e due dietro. Gli ho visto fare cose che sorprendevano tutti, anche me dalla panchina. Un’intelligenza calcistica prodigiosa. L’ho allenato due volte, quando aveva ventun anni e quando ne aveva trentasei, al mio ritorno alla Roma. Mi ha sempre seguito. E non abbiamo ma litigato”.