Dalla Pattese alla Juventus: Michelangelo Rampulla si racconta tra emozioni, gloria e l’amarezza per un addio senza saluti.
“Sono rimasto 18 anni alla Juventus, ma quando me ne sono andato non ho ricevuto neanche una stretta di mano”.
Michelangelo Rampulla, portiere simbolo della Juve anni ’90 e volto amatissimo del calcio italiano, ha raccontato il lato più umano della sua carriera nel podcast Non È Più Domenica di Rocco Di Vincenzo e Matteo Fantozzi. Un’intervista che attraversa trionfi, amicizie e ferite, ma anche un calcio che non esiste più.
Rampulla, originario di Patti, in provincia di Messina, iniziò giovanissimo nella (bianconera, è proprio nel destino…) Pattese prima di passare al Varese, dove un giovanissimo Beppe Marotta ne intuì il talento. Dopo gli anni alla Cremonese arrivò a coronare il sogno di ogni bambino giocando nella Juventus, la squadra del cuore. “Forse ero più felice per mio padre che per me stesso — ha raccontato —. Per lui quella maglia rappresentava un sogno”.
Con la Juventus, da 12esimo (probabilmente uno dei più forti secondi portieri della storia), Rampulla visse gli anni d’oro di Marcello Lippi, conquistando scudetti ma soprattutto la Champions League del 1996, la Supercoppa Europea e l’Intercontinentale.
Commovente il ricordo di Andrea Fortunato, terzino scomparso nel 1995 a soli 23 anni per una leucemia e suo ex compagno di squadra (cui era legato anche dal procuratore – Fortunato, Dino Baggio e Rampulla avevano lo stesso):
“Andrea era un ragazzo straordinario — ha ricordato con voce rotta dall’emozione —. Quando gli scoprirono la malattia fu un colpo terribile per tutti noi. Era nel pieno della sua vita, aveva coronato il sogno di giocare nella Juventus. Nonostante tutto, non si lamentava mai, aveva una forza interiore incredibile. Uscivamo spesso a cena con Dino Baggio, parlavamo di calcio, di futuro, e lui sorrideva sempre. È difficile parlarne ancora oggi, mi viene il magone ogni volta che lo ricordo“.
Parole semplici, che raccontano più di qualsiasi aneddoto sportivo: la fragilità nascosta dietro la gloria, il lato umano di un calcio che spesso dimentica i sentimenti.
E proprio i sentimenti emergono anche nel racconto dell’addio alla Juventus, squadra in cui è rimasto anche nel suo prime, per fare il secondo portiere nonostante avrebbe potuto fare il tiolare altrove: “Dopo 18 anni, mi hanno fatto firmare la rescissione e basta. Nessuna stretta di mano, né dal presidente, né dal direttore sportivo. Mi sarei aspettato almeno un grazie. Ho sempre dato tutto, anche quando avevo altre offerte. Ho rifiutato per restare lì, per fedeltà. Ma a volte la riconoscenza non fa parte del gioco”.
Parole che pesano, ma che arrivano da chi ha vissuto il calcio con dignità, professionalità e passione.
Michelangelo Rampulla è stato il primo portiere a segnare un gol su azione in Serie A (Cremonese-Atalanta, 1992), un simbolo di costanza e carattere. Oggi, a distanza di anni e anche per la succitata marcatura, continua a essere ricordato come un’icona del calcio degli anni ’90.