Julio Libonatti è stato di tutto: primo oriundo, primo sudamericano in Europa, con una vita alla George Best, autore di reti alla Ronaldinho.

Non sappiamo se lo chiamavano Giulio o Julio, con la jota ispanofona, come quella con cui avremmo letto il nome del cantante madrileno Iglesias, padre di Enrique dei tormentoni estivi.

Sappiamo però che la storia di Julio Libonatti è di quelle che meritano di essere raccontate e che dovrebbero essere ricordate più spesso, perché siamo dinnanzi ad un calciatore che ha scritto la storia del calcio – sotto più punti di vista.

Nato a Rosario nel 1901 da genitori italiani (si ipotizza sul web di origine calabrese, ché il suo cognome è molto diffuso in Calabria, sebbene con una t in meno), inizia a giocare nel Rosario Central, per poi raggiungere la fama con la maglia dei Newell’s Old Boys, dove viene soprannominato dai tifosi El Portello, il puledro, per le sue fughe verso le reti avversarie.

Di reti il puledro ne realizza in effetti a bizzeffe, tanto da meritare la convocazione con la Nazionale argentina. Nel 1921, quindi, con la Albiceleste vince la Campeonato Sudamericano de Football 1921 (la Copa America di allora) realizzando una rete per match (contro Brasile, Paraguay e Uruguay) e diventando così il capocannoniere del torneo.

Decisiva in quell’occasione fu la sua rete contro l’Uruguay: l’Argentina vinse 1-0, conquistò il titolo a Buenos Aires e i tifosi lo portarono in trionfo dal campo dello Sportivo Barracas, all’incrocio tra Iriarte e Luzuriaga, fino a Plaza de Mayo, nel centro della capitale. Si tratta con ogni probabilità di una leggenda metropolitana (come fatto notare dal collega Matías Rodríguez in un ottimo articolo pubblicato su El Gráfico) giacché tra i due punti della città c’è una distanza di quasi quattro chilometri, ma il racconto è emblematico dell’importanza di quella rete, destinata ad essere l’ultima con la maglia dell’Argentina.

Libonatti viene acquistato dal Conte Enrico Marone Cinzano: è il primo sudamericano in Europa

Libonatti non lo sa ancora, ma il suo destino è dall’altra parte dell’oceano: lo scoprirà nel 1925 (esattamente cento anni fa) quando il presidente del Torino Enrico Marone Cinzano, figlio di Alberto Marone e di Paola Cinzano, ereditiera della famiglia fondatrice dell’omonima casa produttrice di liquori, lo acquista dopo averlo visto giocare una partita contro il Tiro Federal.

Julio Libonatti – che può approdare in serie A grazie alla doppia cittadinanza – diviene così di fatto il primo giocatore sudamericano a giocare in Europa.

Non solo. Libonatti sarà frattanto il primo oriundo nella storia della Nazionale italiana (una storia lunga e fortunata) ed è tutt’oggi, a cent’anni di distanza, l’oriundo con più reti realizzate in azzurro, 15 in 17 gare. Con la maglia della Nazionale italiana vincerà la Coppa Internazionale, ma ha la sfortuna di iniziare la sua parabola discendente come calciatore quando l’Italia vince il suo primo Mondiale: è il 1934 e Libonatti ha già dato il meglio di sé.

Libonatti è stato un precursore in tante cose e lo è stato anche in granata: ha vinto due scudetti con il Torino prima che diventi il Grande Torino, sebbene in bacheca se ne trova solo uno. Vince il primo titolo nella storia del club nella stagione 1927/28, laureandosi frattanto capocannoniere del torneo, dopo che nella stagione precedente lo scudetto conquistato fu revocato per lo scandalo Allemandi (di cui parleremo eventualmente in altra sede).

Di lui rimarranno impresse nei co-evi le reti di punta (racconta il giornalista Giglio Panza: “Questo italo – argentino ha segnato caterve di gol colpendo il pallone di punta, nella metà centrale della circonferenza, come un giocatore di biliardo. Un numero che non avrei più visto da nessuna parte del mondo” – quando infatti Ronaldinho replicò il gesto in Champions League, la gente rimase esterrefatta) e una attitudine alla vita alla George Best (ricordando il suo motto: “Ho speso gran parte dei miei soldi per alcool, donne e macchine veloci, il resto l’ho sperperato”).

Proprio per la sua attitudine alla bella vita, e dopo due ulteriori esperienze nel calcio italiano al Genoa (che riportò in serie A) e al Rimini (come giocatore-allenatore), si ritrovò senza una lira in tasca e tornò in Argentina promettendo che avrebbe pagato il biglietto della nave una volta giunto a destinazione, a Buenos Aires.

Al porto di Genova a salutarlo, si racconta, ci sarebbe stato solo il suo amico Baloncieri, con cui formò a Torino una coppia d’attacco che i tifosi avrebbero rivisto di pari livello solo alcuni decenni dopo, con Graziani e Pulici, con quest’ultimo che rubò a Libonatti il titolo di maggiore cannoniere nella storia del Toro.

Tornato in Argentina come era partito, senza una lira, Libonatti passò il resto della sua vita a Rosario, dove lavorò nelle giovanili del Newell’s prima di morire a 80 anni, il 9 ottobre del 1981.

Di R.D.V.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *