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Nostalgia ’90, il Pippero ’94 e quel Genio capace di vincere la Champions

Il Pippero 1994 di Mai dire gol tra ironia, voti spietati e paradossi storici: quando anche un Genio da Champions finiva tra i peggiori.

Correva l’anno 1994, una vita fa o giù di lì. Silvio Berlusconi era appena “sceso in campo” e il campionato italiano viveva una delle sue stagioni più spavalde e scintillanti: il Milan, già campione d’Italia, si preparava a scrivere una delle pagine più clamorose della sua storia europea, quel 4-0 rifilato al Barcellona che ancora oggi riecheggia come una lezione calcistica totale (un buon auspicio, verrebbe quasi da dire, anche per i tifosi dell’Inter reduci dal pesantissimo 5-0 col PSG: sappiamo bene cosa diventerà poi il Barça,).

A raccontare quella Serie A insieme ingenua e feroce c’era la Gialappa’s Band con Mai dire gol, capace di trasformare i lunedì (quando andava in onda il programma) in piccoli rituali collettivi. Ed è proprio lì che nasce il Pippero, premio surreale ma irresistibile assegnato ai peggiori per media voto nel girone d’andata secondo i giornali sportivi. Un misto di sarcasmo, crudeltà e verità parziale, che oggi riguardiamo con affetto e un pizzico di malinconia.

L’undici del Pippero 1994, letto oggi, fa sorridere ma invita anche a riflettere, ché si tratta di una squadra che con ogni probabilità oggi farebbe benissimo nella nostra serie A.

In porta Ferron dell’Atalanta con 5,98; terzino destro Porrini della Juventus (5,6), arrivato a Torino con aspettative altissime (prima di diventare un importante comprimario capace di vincere la Champions); a sinistra Carobbi del Lecce (5,59), diventato quasi inconsapevolmente una mascotte televisiva di quell’ironia corrosiva ma mai davvero cattiva.

In mezzo al campo spunta Dino Baggio (5,67): nazionale, motorino instancabile, spesso fuori ruolo. E già qui si intravede il limite della classifica: il voto racconta l’episodio, non la carriera, e nemmeno sempre le prestazioni reali (ricordiamo come Baggio II – come l’I – qualche mese dopo sarà tra i protagonisti principali del mondiale americano).

Difesa centrale affidata a Calori dell’Udinese (5,70) e Bianchini del Foggia (5,65), con quel modo ruvido e genuino di stare in campo che oggi sembra quasi romantico. Sugli esterni Diego Fuser (5,72), altro nome che stride maledettamente con l’etichetta di “peggiore”.

Quando il voto inganna la memoria: Savicevic, Pancev e il paradosso del Pippero

E poi si arriva al punto dove la nostalgia si trasforma in cortocircuito storico. In mezzo figurano Shalimov dell’Inter (5,68) e soprattutto Dejan Savicevic, ultimo per media con 5,37.

Dejan Savicevic, il “Genio”, l’uomo capace di umiliare il Barcellona in finale realizzando frattanto una delle reti più indimenticabili segnate nelle finali di Coppa dei Campioni / Champions League. Quel Savicevic che sarebbe rimasto inciso nella memoria collettiva come uno dei simboli del Milan europeo (Jake La Furia ce lo canterà: “Ricordo il Genio, mentre scavalca Zubizarreta”) viene qui relegato tra i peggiori. Non certo per mancanza di talento, ma per un periodo opaco, per qualche domenica storta, per una fotografia parziale.

Discorso simile per un altro ex jugoslavo Darko Pancev, ex Scarpa d’Oro, attaccante micidiale con la maglia dello Stella Rossa, eppure spesso bersaglio facile del sarcasmo italiano (per prestazioni non esattamente indimenticabili, è vero).

Davanti, assieme a Pancev il centravanti è il cecoslovacco dal mullet Skuhravý (5,74) mentre l’altra punta è Ruggiero Rizzitelli della Roma (5,61).

Ed è qui che il Pippero smette di essere solo una classifica comica e diventa quasi uno specchio del calcio di allora. Un calcio dove il giudizio era immediato, spietato, ma anche profondamente umano. Dove il campione cadeva, si rialzava, si prendeva la risata addosso e continuava a giocare.

Rivisto oggi, il Pippero 1994 non è tanto l’elenco dei “peggiori”, quanto un documento culturale di un’epoca: un calcio meno plastificato, meno algoritmico, più ingenuo e per questo più vero. Dove un Genio da Champions poteva finire dietro la lavagna e noi, davanti alla tv, ridevamo senza cinismo – consci d’altra parte che il nostro era il campionato più bello del mondo.

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