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Emanuele Calaiò: “Catania nel cuore, vicino a Palermo tre volte” (e una volta saltò perché Zamparini non voleva palermitani)

L’ex attaccante di Napoli, Parma e Catania (tra le altre) Emanuele Calaiò si è raccontato durante una puntata di NEPD.

Attaccante da quasi 200 gol in carriera (197 in 604 gare tra i professionisti) Emanuele Calaiò è stato un attaccante prolifico che, complica anche la sfortuna, ha raccolto meno di quello che avrebbe potuto / dovuto.

Nel corso dell’ultima puntata del podcast Non è più domenica (di Matteo Fantozzi e Rocco Di Vincenzo e viceversa) ha ripercorso alcuni dei momenti più significativi (e sofferti) della sua carriera. Il passaggio per Catania (vissuto dai palermitani come un tradimento), la (triplice) mancata esperienza proprio con il Palermo, l’occasione di approdare in una big: questi sono alcuni dei passaggi più interessanti della chiacchierata, in cui è emerso come sia sempre stato un calciatore con la volontà di sposare i progetti, a prescindere dalla categoria.

“Io ho sempre sposato i progetti. Per me la categoria veniva dopo: ho sempre pensato che piuttosto che andare in una squadra di Serie A e giocare poco, era meglio partire dalla B o anche dalla C con una piazza importante, per provare a riportarla su. L’ho fatto col Parma, col Napoli, e volevo farlo anche con il Catania. È stato uno dei miei rimpianti più grandi: a Catania stavo davvero benissimo, avrei potuto finire lì la mia carriera. Era anche vicino casa, due ore da Palermo. Ci stavo davvero bene”.

Calaiò ha quindi raccontato anche la complessa vicenda del mancato approdo a Palermo, club della sua città:

“Sono stato accostato al Palermo per tre anni, ma per varie ragioni non ci sono mai andato. E questo ha creato qualche malinteso con i tifosi. Alcuni dicevano: “Non sei mai voluto venire”, ma non è vero. Il primo anno avevo dato la mia parola al Napoli. Il secondo fu Zamparini a bloccare tutto: non voleva palermitani in squadra. Il terzo anno era tutto fatto, avevo un triennale pronto, ma il Parma non riuscì a trovare un sostituto e non mi lasciò partire”.

E proprio su Zamparini, Calaiò ha svelato un retroscena poco noto:

«Dopo quello che era successo con Miccoli, Zamparini era diventato molto diffidente: temeva che i palermitani avessero rapporti con i giornalisti o con ambienti esterni poco raccomandabili. Aveva paura che si trapelassero informazioni, che ci fossero collegamenti con la malavita. Per questo non voleva giocatori della città”.

Sull’arrivo a Catania, da palermitano, ricorda:

“Non fu facile. I tifosi del Palermo dicevano “Vai a Catania?”, e quelli del Catania erano scettici: “Abbiamo preso un palermitano…” Ma sapevo che l’unico modo per conquistare tutti era uno: fare gol. E ci riuscii. Alla prima di Coppa Italia segnai, idem all’esordio in campionato. Quell’anno fu spettacolare, tra i migliori della mia carriera. Dopo 4-5 mesi mi affidarono la fascia da capitano”.

Ma nonostante un’annata super da 18 gol, la promozione in A sfumò (e, anzi, arrivò poi la retrocessione per le note vicende giudiziarie):

«La squadra non era all’altezza nella prima parte. Il presidente Pulvirenti aveva affidato tutto a Corsentino, più un procuratore che un vero direttore sportivo. Aveva riempito la rosa di argentini che non conoscevano la Serie B. Solo a gennaio arrivarono giocatori di categoria come Maniero, Coppola, Belmonte, Schiavi. Da lì risalimmo, sfiorando i playoff”.

Calaiò ha quindi raccontato come abbia anche sfiorato la Serie A che conta (quella delle big):

“L’anno che firmai col Napoli dalla C, avevo segnato 18 gol. A gennaio l’Inter di Mancini mi cercò perché avevano problemi in attacco, tra infortuni e Coppa d’Africa. Mancini mi stimava, mi aveva voluto anche quando stavo a Siena. Ma il Napoli non volle lasciarmi andare: puntavano su di me per la promozione in A”.

Ma non è stata l’unica occasione sfumata:

“A Siena, prima dell’infortunio al perone, ero a quota 13 gol a febbraio in Serie A. Si parlava di convocazione in Nazionale, mi seguivano Roma, Milan… Poi mi feci male a Cesena, proprio davanti al secondo di Prandelli, Rocca. Lì finì tutto”.

 

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