Calcio247.it

Bruno Pizzul e la sua parabola da calciatore | La sua vita prima delle telecronache

Bruno Pizzul e la sua vita prima delle telecronache. Non lo sanno in molti, ma è stato un centromediano con esperienze da calciatore professionista.

Compie quest’oggi 85 anni un volto, una voce, un personaggio icona della televisione italiana.

Parliamo di Bruno Pizzul, nato ad Udine l’8 marzo del 1938, voce della Nazionale italiana di calcio tra il 1986 e il 2002. Assunto in Rai nel 1969, ha iniziato a commentare match calcistici nel 1970 con uno spareggio di coppa Italia (Juventus-Bologna, sul neutro di Como) che lo vide arrivare allo stadio con 15′ di ritardo.

Da lì una lunghissima carriera, con il subentro a Nando Martellini come voce della Nazionale nel 1986. Da allora cinque campionati mondiali, quattro campionati europei e tante vittorie sfumate all’ultimo per gli azzurri: valgano per tutte il Mondiale del 1994 perso contro il Brasile ai rigori e l’Europeo del 2000 perso al Golden Goal contro la Francia. Comunque tutto molto bello.

Dopo il ritiro da voce della Nazionale, svariate collaborazioni. In ultimo quella che lo ha visto tornare in TV su DAZN, nel talk show del lunedì sera condotto da Pierluigi Pardo Supertele.

Bruno Pizzul, la carriera da calciatore prima delle telecronache

Non troppi sanno che, prima di dedicarsi alle telecronache, Bruno Pizzul ha giocato per diversi anni a calcio, da professionista.

Centromediano, si ritirò abbastanza presto a causa di problemi fisici, ma ebbe comunque la possibilità di vestire gloriose maglie come quelle dell’Ischia, dell’Udinese (la compagine di casa sua) e del Catania, nel 1958, che gli diede la possibilità di allontanarsi dal suo Friuli.

E in un’intervista a Repubblica, Pizzul ha raccontato la sua esperienza alle pendici dell’Etna.

A partire dall’acquisto da parte del club rossazzurro (che preferì Pizzul a un giovanissimo Tarcisio Burgnich, futuro vincitore di tutto con la casacca dell’Inter):

“Avevo vent’anni e giocavo con la Pro Gorizia. Un mattino si presentarono gli osservatori del Catania: gli serviva un difensore. Convocarono me e Tarcisio Burgnich per un provino. Scelsero me. Burgnich finì all’Udinese. Dopo qualche settimana presi il primo treno per la Sicilia. Catania è una città straordinaria, posizionata in una delle zone più belle del mediterraneo: con l’Etna alle spalle e il mare davanti. A quei tempi veniva chiamata la Milano del sud: vivace e sempre piena di iniziative. Ma il mio primissimo approccio con la “sicilianità” avvenne sul traghetto e fu una delusione. Non ero mai stato in Sicilia prima di giocare nel Catania e sul traghetto, che collega Villa San Giovanni a Messina, mi fermai al bar per comprare un’arancina convinto che fosse un dolce, tipo un bombolone e invece al primo morso ci rimasi malissimo. Erano dei sapori troppo diversi dai miei”.

In realtà Pizzul – che già erra nel chiamare arancino quello che nella costa orientale della Sicilia si chiama arancino – ignorava come l’arancino sul traghetto sia una classica trappola per turisti: mai mangiare l’arancino sul traghetto tra la Calabria e Messina.

Quindi, sul resto della carriera:

“Per quanti anni indossai la maglia rossoazzurra? Due anni, dal ‘58 al ‘60 sotto la guida del mister Carmelo Di Bella. Poi, nel ‘61, fui prestato all’Ischia che giocava in serie C. In realtà mi mandarono a Ischia per fare i fanghi perché, come tutti i calciatori, avevo problemi alle ginocchia. Dopo un anno tornai al Catania per finire la carriera, l’anno dopo, nel Gorizia. La reazione dei miei genitori quando andai in Sicilia? Mia mamma non voleva, si mise a piangere. Mio padre mi disse: ‘vai, così ti togli dalle sottane di tua madre che altrimenti non ti farà crescere’. Mi spingeva a partire perché il Catania mi dava vitto e alloggio e un piccolo stipendio. Guadagnavo intorno alle 300 mila lire al mese. Non ti arricchivi ma si poteva sopravvivere dignitosamente. E poi il compenso cambiava in base all’anzianità e a quante volte giocavi. Io spesso ero in panchina”.

Un giovane Bruno Pizzul in marcatura su Omar Sivori

Simpatico, infine, il retroscena raccontato sull’ex storico Direttore della Gazzetta dello Sport Candido Cannavò:

“Era un’amichevole Catania-Juventus. Dovevo marcare John Charles ma il mister mi spostò per raddoppiare la marcatura su Sivori insieme a Benito Boldi, anche lui friulano. Fu una bella partita con un Cibali strapieno. Eravamo in tanti dal Friuli nel Catania. E ricordo ancora Candido Cannavò, giovane cronista siciliano che, quando entrava nello spogliatoio e ci sentiva parlare con il nostro idioma, incomprensibile, ci diceva: ‘Minchia, siamo stati invasi da tutti: punici, cartaginesi, romani, greci e adesso ci sono anche questi barbari che parlano con questo linguaggio incomprensibile’. Era sempre divertente”.

Quindi, sull’utilità a 360° dell’esperienza siciliana: “Studiavo legge. Le trasferte al nord erano lunghissime così preparavo gli esami sul treno. Bisognava soltanto avere la voglia e la costanza. E spesso si trovava anche il tempo per fare un tuffo al mare. Andavo a Capo Mulini. Una volta assieme a due compagni di squadra, Morelli e Michelotti, ci fregarono i portafogli in macchina. Dopo qualche ora restituirono tutto alla sede del Catania con tanto di scuse”.