E’ morto a soli venti anni Seid Visin.
Ragazzo etiope trasferitosi in Italia da bambino e adottato da una famiglia di Nocera Inferiore, è stato trovato senza vita all’interno della sua abitazione.
Aveva avuto una esperienza importante nelle giovanili del Milan, condividendo la stanza con Gianluigi Donnarumma – anch’egli originario della campania (terra d’adozione di Seid Visin).
Dal canto suo il ragazzo nato in Etipoia aveva appeso le scarpette al chiodo nella stagione 2016/17, dopo una esperienza con la casaccca del Benevento.
Ultimamente aveva deciso di riavvicinarsi al pallone militando in una squadra di calcio a cinque di zona, l’Atletico Vitalica.
Ed è stato proprio l’Atletico Vitalica a congedarsi da Seid con un post sui canali social della squadra
E tra i tanti commenti di cordoglio c’è chi ricorda la grande educazione del giovanissimo
“Ti ricorderò x sempre come il più dolce ed educato ragazzo che abbiamo avuto a casa nostra a doposcuola..Un abbraccio forte alla tua famiglia , CIAO Seid
La lettera di Seid agli amici
Il Corriere della Sera, parlando della drammatica vicenda (pare che Seid si sia tolto la vita) ha riportato una lettera scritta dal ragazzo e indirizzata ad amici e alla psicoterapeuta.
Una lettera in cui emergevano tutte le sue umane difficoltà:
“Sono stato adottato da piccolo (…). Ricordo che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, tutti si rivolgevano a me con gioia, rispetto e curiosità. Adesso sembra che si sia capovolto tutto”.
“Ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, specie anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche come responsabile perché molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro”.
“Dentro di me è cambiato qualcosa. Come se mi vergognassi di essere nero, come se avessi paura di essere scambiato per un immigrato, come se dovessi dimostrare alle persone, che non mi conoscevano, che ero come loro, che ero italiano, bianco”.
“Facevo battute di pessimo gusto su neri e immigrati (…) come a sottolineare che non ero uno di loro. Ma era paura. La paura per l’ odio che vedevo negli occhi della gente verso gli immigrati”.
Drammatico quindi il finale, rivolto proprio agli immigrati: “non voglio elemosinare commiserazione o pena, ma solo ricordare a me stesso che il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d’ acqua in confronto all’oceano di sofferenza che sta vivendo chi preferisce morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno. Quelle persone che rischiano la vita, e tanti l’hanno già persa, solo per annusare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente “Vita””.