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Dal calcio all’altare: la storia di Samuel Piermarini, ad un passo dal vestire la maglia della Roma

Dal calcio all’altare.

E’ la atipica parabola di Samuel Piermarini, ex giovane promessa del calcio capitolino.

Ultimo di quattro fratelli, Samuel è stato ad un passo dal vestire la maglia della Roma, quando Stramaccioni guidava gli allievi dei giallorossi, dieci anni or sono o giù di lì. Sarebbe dovuto passare dalla piccola compagine di Ostia dove militava alla Roma, per vestire i panni del terzo portiere.

Come racconta al ‘Corriere’: “Poi è arrivato il giorno che Stramaccioni mi ha detto: d’accordo, sei bravo, ti prendiamo, vieni a firmare. Era da una settimana che facevamo i provini, gli altri candidati e io. La fatica e i sogni di una vita intera, per il ragazzo di diciassette anni che ero, cresciuto con il modello di Buffon (Samuel è juventino, ndr), e adesso era fatta: firmavo con gli allievi della Roma, diventava una cosa seria, da non crederci, era il momento di puntare tutto sul calcio”.

Ma in quel momento, in una fondamentale sliding door della propria vita, Piermarini disse di non sentirsela: “Ho cominciato a farfugliare scuse un po’ goffe, non so se me la sento, e poi chi mi accompagna agli allenamenti, e intanto c’era il mister imperturbabile che mi guardava con l’aria di chi pensa: ma sei scemo?”.

In realtà, dentro Samuel faceva capolino la vocazione: il suo sogno stava diventando quello di diventare prete.

E domenica mattina, nella Basilica di San Pietro, Papa Francesco lo ordinerà sacerdote della diocesi di Roma insieme ad altri otto.

Lui, racconta, continua a giocare (“Eh no, chiariamo: io sono sempre un portiere”) ma il contesto è diverso: ha giocato negli ultimi anni nella Clericus Cup, il torneo del Centro sportivo italiano nel quale si sfidano sacerdoti e seminaristi, con la maglia del Redemptoris Mater, oltre che la coppa di calcio a 8 “quella dove gioca pure Totti. Non ho mai difeso la porta contro di lui, abbiamo dovuto interrompere per il Covid. Ma non vedo l’ora”.

E sui motivi del no pronunciato a suo tempo, Samuel racconta ancora: “Sentivo che non ero chiamato a fare questo, ecco. La mia vita, la mia vita intera, stava altrove. Avevo una fidanzata, la scuola, il calcio, gli amici che mi dicevano: ma che hai fatto? Ma c’era quella domanda, in me: Signore, non è che mi stai chiamando a un’altra vita?